Sopportare.
C’è un limite oltre il quale la sopportazione cessa di essere una virtù. [Socrate].
“Sopportare” è un termine che dovrebbe scomparire dai nostri vocabolari quotidiani, ma soprattutto dalle nostre vite. Questa parola denota qualcosa che non abbiamo scelto e che non ci fa stare bene.
Siamo così abituati ad avere relazioni non soddisfacenti, relazioni che non contribuiscono a farci crescere che “sopportiamo” le diversità dei nostri compagni, dei vicini di casa, dei conoscenti, dei colleghi.
Sopportare è diverso da comprendere, integrare, ascoltare. Sopportare è una bomba ad orologeria perché significa resistere e qualsiasi cosa che resista oltre il proprio limite, si spezza.
Nessuno pare interessato a insegnarci e ad imparare che abbiamo il diritto di difenderci e il dovere toglierci da quelle relazioni che succhiano energia. Nemmeno si insegna che ci sono molti modi attraverso la relazione stessa, attraverso i gesti e le parole per fare in modo di non dover sopportare.
Perché sopportare è anche diverso da mediare, e perché se anche fossero sinonimi, il venirsi incontro presupporne che ognuno faccia il 50% della strada oppure che ognuno faccia tutta la strada, ma una volta per ciascuno; in tandem, a rotazione. Ovvero un team equilibrato e non un team zoppo.
Eppure subiamo!
Eppure subiamo! E ci lamentiamo di ciò che subiamo.
E la nostra società supporta anche la sopportazione, accostandola all’atteggiamento del subire, come se il martirio fosse una dote. Ma subire non genera nessun eroe.
Subire e ferire come due facce di una medaglia malata dove il subire non è null’altro che lasciare che qualcuno ci ferisca.
Se qualcuno vuole ferirci ci sembra saggio mostrare il petto? Noi diremmo che è folle.
Devo sopportare un vicino che accende la musica alle 3 del mattino. Perché?
Devo sopportare di lavorare “in nero” 8 ore al giorno per 400 euro al mese. Perché?
Devo sopportare che il mio fidanzato sparisca per settimane senza farsi vivo. Perché?
Devo sopportare gli sguardi, i giudizi. Perché?
Chiediamocelo. Perché la vita è un soffio, anche se non vogliamo pensarci e non ci sono motivi per sopportare qualcosa che possiamo cambiare. O forse il problema è proprio cambiare?
Forse la difficoltà è anche il fatto che dovremmo educare di più all’equilibrio tra:
– avere una salda identità per non essere succubi del dover sopportare;
– aprire lo sguardo ai punti di vista e ai modi altrui che aprendoci la mente ci portano sempre meno a sopportare e sempre più ad abbracciare altri mondi.
E quando è la vita che dobbiamo sopportare? La malattia, un incidente, una perdita.
Ecco forse solo in alcuni di questi casi potremmo dire che sopportare è una virtù.
Accettazione.
Ma oggi anche davanti a questo non si insegna più l’accettazione (che non è rassegnazione) impedendo ai veri martiri di essere tali e di vivere il più serenamente possibile le proprie sventure.
A loro va tutta la stima, a quelle persone contro cui la vita si accanisce. Che possiate accettare senza subire.
Testo di Sara Zanette (psicologa e ingegnera).
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