INTERIORE_ESTERIORE. Il lavoro e l’espressione dell’identità professionale.

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Il lavoro e l’espressione dell’identità professionale.

Lavoro e identità professionale
Lavoro e identità professionale

LAVORO. Ma cosa dovrebbe rappresentare e suscitare in noi il nostro lavoro?

Passione, creatività, leggerezza, motivazione, gioia, realizzazione.

Questa parola oramai fa balenare nella mente di molti di noi concetti di fatica, fastidio e alienazione.

Dove troviamo dunque l’origine di una discrepanza così netta? Nel passaggio da una società di produzione a una società di consumo.

Nella prima, attraverso la realizzazione di un oggetto o di una prestazione si trasmettevano anche le capacità e l’identità del realizzatore che attraverso questo atto realizzava e perpetuava anche sé stesso creando uno status. Nella seconda lo scopo è il soddisfacimento di un piacere e di un desiderio insaziabile dei consumatori. Desiderio creato ad arte, l’arte della vendita.

Nel consumo non si cerca la qualità della prestazione con all’interno l’anima di chi la produce, ma si cerca solo di placare un desiderio. Placato il desiderio e svanito il piacere si fa subito spazio ad un altro in un pozzo senza fondo. Tutto questo sfianca, sfinisce, svuota e inardisce.

Attraverso il lavoro ognuno di noi dovrebbe poter realizzare una parte del sé chiamata sé professionale.

Ma oggi, per molti di noi, la dimensione del sè professionale si è disgregata, dispersa al vento assieme al lavoro stesso che sempre più spesso rappresenta qualcosa di incerto, di provvisorio, di instabile.

La differenza tra flessibilità e incertezza e quindi tra eccitazione ed ansia, risiede proprio nella natura di tale variabilità; sia infatti scelta per il piacere di variare, di nuove esperienze e di crescita, o subita.

Il lavoro dovrebbe diventare PROFESSIONE.

Dovrebbe quindi essere coltivato sin da bambini nel momento in cui in famiglia non si miri al titolo a tutti i costi, ma alla realizzazione a tutti i costi.

Aiutare dunque un bambino e poi giovane adulto in famiglia, nella scuola e in ogni ambito a coltivare la propria ATTITUDINE INTERIORE; sia essa lavoro manuale o di intelletto purchè possa, attraverso di esso, esprimere una parte di sé.

La nostra professione dovrebbe essere qualcosa che ci piace, che fa scorrere il tempo veloce mentre lo svolgiamo e che a fine giornata ci fa sentire pieni e non svuotati. Stanchi poiché abbiamo dato tutto, ma non prosciugati perché abbiamo resistito tutto il tempo a noi stessi per svolgerlo.

Attenzione però! Trovare ciò che ci realizza è cosa perigliosa, non possiamo stare in attesta che altri ce la portino.

Se vogliamo un lavoro, una professione da amare allora dobbiamo attivarci, scrollarci di dosso la pigrizia, sfidare le paure e non lamentarci sterilmente, ma piuttosto lottare per averlo.

L’attitudine e la passione senza disciplina e pratica non realizzano nulla poichè incostanti, la disciplina e la pratica senza attitudine portano frustrazione in quanto manca il fuoco che mantiene viva la motivazione.

Il lavoro dunque come elemento essenziale per la crescita e la realizzazione piena del sé e non per la mortificazione. Il lavoro come modo per trasmettersi e trasmettere nella nostra unicità.

Amare ciò che facciamo è amare ciò che siamo, è amore per noi stessi.

(Con stima per chi svolge un lavoro che non ama o in condizioni che non ama, con la speranza che cerchi ciò che serve).

Testo di Sara Zanette (psicologa e ingegnera).

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Vedi anche: www.progettorefero.it

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Sara Zanette (psicologa e ingegnera)

Arcangelo Piai (fotografo)

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